Il sistema previdenziale italiano è spesso percepito come complicato e pieno di insidie, ma un punto fondamentale accomuna tutte le forme di pensionamento: il numero minimo di contributi necessari per poter accedere a una pensione INPS. Nonostante le molte leggende e semplificazioni, la verità è che esistono alcune regole fisse e poche deroghe. Conoscere questi requisiti è essenziale per pianificare il proprio futuro previdenziale e non rischiare brutte sorprese.
Quanti anni di contributi servono davvero?
Nel panorama attuale, la norma generale stabilisce che per ottenere la pensione di vecchiaia sono necessari almeno 20 anni di contributi versati e aver raggiunto l’età di 67 anni. Questo requisito è valido sia per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi, e la contribuzione può essere totale, mista o suddivisa tra le varie gestioni INPS (INPS su Wikipedia).
Tutti i tipi di contributi — cioè quelli da lavoro dipendente, autonomo, figurativi, da riscatto (ad esempio riscatto degli anni di laurea) o volontari — concorrono al raggiungimento di questa soglia. In estrema sintesi:
- Almeno 20 anni di contributi accreditati (1040 settimane per i dipendenti o 240 mesi per gli autonomi).
- Almeno 67 anni di età anagrafica compiuti, salvo modifiche su base periodica legate alle aspettative di vita.
Senza questo requisito contributivo, la pensione ordinaria non è accessibile, indipendentemente dalla propria età.
Eccezioni e deroghe: le alternative possibili
Esistono poche ma importanti deroghe a questa regola che permettono, in circostanze specifiche, di ottenere una pensione anche con meno di vent’anni di contributi.
Pensione con 5 anni di contributi
Chi ha almeno 5 anni di contributi effettivi (260 settimane per i dipendenti e i domestici, 60 mesi per gli autonomi), può accedere alla pensione di vecchiaia all’età di 71 anni. Questo canale riguarda tipicamente i cosiddetti “contributivi puri”, ovvero coloro che hanno iniziato a versare dopo il 1996 e che non hanno periodi coperti dal sistema retributivo precedente. Però, il requisito decisivo è che:
- I 5 anni siano effettivi, cioè escludendo contributi figurativi per disoccupazione/malattia salvo casi particolari.
L’assegno che si percepirà sarà molto basso, dato che il calcolo sarà interamente contributivo e basato su una bassa anzianità.
Versamenti volontari
Per chi ha periodi di contribuzione parziale e vuole raggiungere almeno i 20 anni, la legge permette — previa autorizzazione INPS — di effettuare versamenti volontari. Questo è spesso sfruttato da chi ha carriere discontinue o ha lavorato per periodi saltuari.
Assegno sociale
Coloro che non maturano nemmeno i 5 anni di contributi (o anche chi ne ha di più ma non sufficienti per la pensione di vecchiaia), possono — se in condizione di disagio economico — accedere all’assegno sociale. È una misura assistenziale non legata ai contributi ma ai requisiti di reddito e residenza in Italia:
- Bisogna avere 67 anni e un reddito annuo inferiore ai limiti fissati ogni anno, ad esempio 7.002,97 euro per il singolo (2025).
- L’importo annuo dell’assegno sociale nel 2025 è di 8.016,71 euro.
Non si tratta però di una pensione contributiva: è solo un intervento di sostegno.
Cosa succede a chi non raggiunge i requisiti
Chi non raggiunge nemmeno il minimo previsto dalla legge rischia di vedere vanificati i contributi versati nel corso della vita lavorativa. Per questo è vitale conoscere alcune possibilità di tutela:
- Totalizzazione dei periodi contributivi: sommare i contributi versati in casse diverse o in più gestioni INPS.
- Pace contributiva: riscatto agevolato di periodi “vuoti”, previsto attualmente in modo temporaneo per certi lavoratori.
- Richiesta e autorizzazione all’accredito dei contributi volontari, in presenza di alcuni requisiti anagrafici e previdenziali.
L’INPS mette inoltre a disposizione dei simulatori per calcolare l’importo e la data di decorrenza della pensione, tenendo conto di tutte le particolarità individuali.
La differenza tra pensione minima, assegno sociale e pensioni integrative
È importante distinguere tra:
- Pensione minima: nel 2025, l’importo minimo di pensione INPS è di 616,67 euro mensili. Si tratta di un’integrazione prevista solo se il totale della pensione di vecchiaia è sotto tale soglia e se si rispettano limiti di reddito. Non tutti hanno diritto: occorrono comunque almeno 20 anni di contributi per ottenerla.
- Assegno sociale: come già illustrato, misura assistenziale rivolta a chi non ha quasi contribuzione e si trova in stato di bisogno.
- Pensioni integrative (secondo e terzo pilastro): strumenti di risparmio individuale, come fondi pensione o piani individuali pensionistici, aperti anche a lavoratori che sanno di non poter maturare la pensione pubblica. Sono altamente consigliati in caso di carriera frammentata o per giovani con contratti atipici.
Le differenze principali dipendono dal tipo di copertura previdenziale e dal meccanismo di calcolo dell’assegno. Chi ha molti “buchi” nei contributi può rischiare di accedere solo ad una misura assistenziale e non alla pensione ordinaria.
In ogni caso, è essenziale informarsi periodicamente sul proprio trattamento pensionistico presso l’INPS, soprattutto alla luce delle frequenti modifiche legislative. Una corretta pianificazione consente di valutare opzioni aggiuntive (riscatti, integrazioni, totalizzazioni) ed evitare che contributi già versati possano andare persi.
In sintesi, la verità che non viene spesso detta è che il problema dei contributi minimi è centrale per la propria sicurezza economica futura, e non è sufficiente lavorare per pochi anni o con forti discontinuità per garantire un reddito nell’età anziana. Solo 20 anni di contributi danno accesso alla pensione di vecchiaia, con poche deroghe basate su situazioni di disagio o percorsi contributivi molto frammentati.